L’Islanda non è un luogo qualunque. E' piuttosto una metafora della vita. L’idea che l’uomo è un granello di sabbia alla mercé del destino qui è improvvisamente tangibile. Da queste parti la Terra è viva, si muove, sussulta rabbiosa, vomita la sua linfa come in nessun altro posto al mondo. Coni vulcanici, colate di magma solidificato, laghi di fango ribollente, sorgenti di acqua calda fanno di quest’Isola l’ultimo posto sul Pianeta in cui è ancora possibile sentire il mistero della creazione. È il suo fascino e la sua maledizione. Lo sanno bene gli islandesi, poco più di 280mila persone, in un territorio di oltre 102mila chilometri quadrati (più o meno un terzo dell’Italia) che la amano così com’è: bella e dannata. Strana gente davvero. Degli avi vichinghi hanno la stessa capacità di sopportare la forza degli elementi, in una precarietà che farebbe impazzire gli abitanti di qualunque altro angolo del mondo. Sono abituati alla solitudine, ma non disdegnano la comodità, la tecnologia e la modernità. Guadagnano molto e vivono a lungo. Sono coraggiosi, ma oltre la metà di essi dichiara di credere all’esistenza dell’huldufólk, un popolo sotterraneo fatto di spiriti, elfi e troll, come ha rivelato qualche anno fa una ricerca dell’Università di Reykjavík. D’altro canto in nessun'altra landa d’Europa la fantasia può confondersi così facilmente con la realtà come in Islanda. Per rendersene conto basta imboccare la Ring Road (la strada numero uno), la stretta striscia d’asfalto che chiude l’Islanda in un anello di oltre mille chilometri, e percorrerla. Fumo, fuoco, acqua e ghiaccio: i vichinghi credevano che l’Islanda fosse la porta per gli inferi. E invece è il paradiso. L’ultima delle terre estreme d’Europa.
Giuseppe Brillante giuseppebrillante@giuseppebrillante.it